L’ipotesi più probabile è che il seme da cui nacque la città di “Saina” fu un’antica colonia etrusca formata in inizio da piccoli insediamenti sparsi sui tre colli che dominano la valle della Tressa. Nel tempo i nuclei sparsi si andarono ingrandendo fino a dar vita ad un unico complesso urbano che si chiamò poi “Senae”. Il nome al plurale vuole forse significare che il tutto fu l’unione di più parti. Poi i senesi chiamarono per secoli la loro patria amatissima “Sena vetus” e infine Siena. Siena che, ieri come oggi: “…s’erge in attitudine pugnace la città fosca sui pallenti clivi / come se ancora nel piano che tace / volgansi in rosso colorati i rivi / d’urla guelfe echeggiando…”.

Ognuno dei tre colli che costituirono la città contribuì quindi per un terzo alla sua creazione e da qui probabilmente la ragione della divisione in “Terzi” o “Terzieri” che sopravvivono anche oggi con confini e nomi propri (Città, San Martino e Camollia). Questi a loro volta erano suddivisi in Contrade che in origine erano circa ottanta e che poi, in seguito alle vicissitudini della vita cittadina, si ridussero via via nel numero tanto che agli inizi del 1600 rimasero in 17, tante quante sono anche oggi.

Fino dall’inizio le Contrade ebbero nell’ambito dei Terzi una loro zona di influenza se non addirittura un territorio e già nel Duecento partecipavano ad eventi della vita comunitaria ed avevano obblighi ed attribuzioni precise. Il Constituto del 1262 disponeva che eleggessero un Sindaco tenuto a prestare giuramento al Comune, dal quale riceveva un salario di 20 soldi senesi ogni semestre. Un salario indubbiamente guadagnato in quanto al Sindaco erano affidati numerosi compiti da esplicare con il massimo zelo, quali: denunciare i fatti illeciti eventualmente commessi nell’ambito della Contrada; vigilare sulla pulizia delle strade; sorvegliare l’esecuzione delle opere pubbliche; assicurarsi che tutti gli “habitatori” della Contrada si recassero in Duomo alla vigilia della Festa di Santa Maria d’agosto per l’offerta dei ceri; fornire informazioni per la ricerca di cittadini “non allirati”; vietare a chiunque di gettare acque sporche sulla pubblica via; denunciare al Podestà coloro che avessero dato asilo a cittadini banditi per maleficio; vigilare affinchè “niuna persona alloghi ovvero conceda allogare ovvero concedere faccia a pigione alcuna casa ovvero habituro a ladroni ruffiani ovvero biscazzieri”.Ma insieme alle Contrade che, come si è detto, esplicavano compiti civili e ludici partecipando alle solennità – come Santa Maria d’agosto – e alle feste che venivano organizzate in modo saltuario, l’ordinamento del Comune non poteva di certo fare a meno di una struttura militare non solo capace di contrastare, ma anche di contrattaccare i numerosi nemici che attentavano all’integrità e addirittura alla sopravvivenza del Comune. Sorsero così le Compagnie militari, ognuna con insegne e nomi propri e lo Statuto del 1355 dispose che, in caso di bisogno, arruolassero tutti gli uomini dai 18 ai 70 anni dimoranti nel rispettivo territorio e si ponessero agli ordini del Gonfaloniere maestro e questo, a sua volta, del Capitano del Popolo. Avevano una sede chiamata “ridotto”, il cui affitto veniva corrisposto dal Comune, e lì si radunavano gli uomini e si custodivano le armi. Oggi delle Compagnie militari rimane solo una rappresentanza nelle comparse delle Contrade consistente in due paggi che ne recano le insegne.Col tempo le Contrade modificarono le loro strutture divenendo entità autonome con propri “uffiziali” e provviste di capacità amministrative e di sia pur limitate facoltà di regolamento, per gli affari concernenti la propria circoscrizione.Del Palio si ha notizia fino dal 1100 e si correva in onore di San Bonifacio, patrono della Cattedrale. Nelle memorie risalenti all’anno 1232 si legge della condanna di un fantino che non aveva osservato le regole della corsa.Nella Repubblica di Siena, fino dai tempi più remoti, in occasione della celebrazione della Festa di Santa Maria Assunta, il 15 agosto, si disputava il Palio, come fa fede lo Statuto del 1310 il quale stabiliva anche l’ammontare della spesa necessaria per il Palio che consisteva in grandi stendardi di velluto o di seta da consegnare, come avviene anche oggi, alla Contrada vincitrice. Nella seconda metà del Cinquecento sono invece le Contrade ad organizzare e far correre il Palio del 2 luglio a celebrazione della Visitazione della Santissima Vergine Maria.Oltre al Palio, però, e prima ancora che venisse in uso far correre quello del 2 luglio, in ricorrenze o eventi di particolare importanza venivano organizzate altre feste come il gioco delle pugna, le bufalate e le cacce ai tori, alle quali le Contrade prendevano parte. Un’occasione di importanza davvero particolare fu la visita che Carlo V imperatore del Sacro Romano Impero fece alla nostra città nell’aprile del 1536.

L’imperatore, che durante la Sua permanenza a Siena dimorò nel territorio dell’Aquila, fu ricevuto nella piazza di Postierla addobbata, come ci riferisce un anonimo cronista “con bello rilievo di un’aquila grande ben proporzionata, fatta di legname, tinta nigra bruscata d’oro” con la scritta “Praesidium libertatis nostrae”.

Il nobile cavaliere Giovanni Antonio Pecci in un suo libro manoscritto datato 1718 integra la descrizione del cronista con queste testuali parole: “il 24 aprile dell’anno 1536 allorquando l’imperatore Carlo V onorò la nostra città con la Sua venuta volsero queste Contrade (cioè gli abitanti delle Compagnie militari di San Pietro in Castelvecchio, del Casato di Sopra e di Aldobrandino del Mancino) dimostrarsi ad Esso vere suddite e geniali, che perciò gli si presentarono incontro in numero di più di trecento persone con la loro insegna dell’Aquila in campo d’oro, dal quale imperatore non solo furono lietamente accolte, ma onorate da un singolare privilegio quale appunto di poter per l’avvenire inalberare l’aquila imperiale con due teste e distintamente onorata dal titolo di Nobile e Privilegiata” consegnandoci così una testimonianza indiscutibile della legittimità del nostro Blasone.Altra straordinaria conferma dei privilegi concessi alla nostra Contrada dalla benevolenza imperiale ci viene dall’anonimo pittore della caccia dei tori del 1546 (solo dieci anni dopo l’affermato avvenimento) che dipinse dal vero, in primo piano nel quadro, lo stemma imperiale nella bandiera giallo oro dell’Aquila.

L’ultimo avallo ci perviene dal Public Register of All Armes and Beatings in Scotland che ha iscritto il nostro stemma con gli attributi concessi da Carlo V e poi da Umberto I di Savoia a pagina 1 del suo 51° volume, riconoscendo esplicitamente i privilegi dei quali l’Aquila fu investita dall’Imperatore del Sacro Romano Impero e dal Re d’Italia.Della caccia ai tori del 15 agosto 1546, Cecchino chartaio, forse il più noto cronista dell’epoca, ci ha lasciato una cronaca amplissima e dettagliata riportando tra l’altro che: “l’insegna dell’Aquila è levata in alto dall’alfiere conte Marcello d’Elci, nobilissimo patrizio senese. Fanno parte della comitiva settantasette cavalieri vestiti all’antica con giubbetti giallo e nero e un ciuffo di penne in capo, con una mazza ferrata in mano per ciascuno, appartengono a San Pietro in Castelvecchio, al Casato di Sotto e a tutte quelle vie intorno al Duomo ove erano i casamenti di Aldobrandino del Mancino. Guida il Capitano Celio Gabbrielli”.

Ma almeno in questa occasione l’Aquila fece le cose davvero in grande perché una memoria della nostra Contrada racconta che: “questa Nobile e onorata Contrada, passate le tre ore di notte, uscì per la città a cavallo con sua livrea e gran quantità di torce, menando seco un bellissimo carro sopra il quale era una grande aquila con molti trofei e altri ornamenti, e alcuni della livrea cantorno in più luoghi della città con sommo piacere di chi udiva una artifiziosa musica sopra parole di laude di questa insegna”. L’inno che i cavalieri aquilini “cantorno” diceva, tra l’altro: “noi siam quei ch’andiam cantando / per lo mondo ad alta voce / un bel nome alto e feroce / Aquila Aquila gridando”. Forse è l’atto di nascita degli attuali stornelli contradaioli ed un altro primato può essere così attribuito alla nostra Nobile Contrada.Altro momento in cui ci dovette essere riconosciuta grande magnificenza e distinzione fu in occasione del Palio del 15 agosto 1581 fatto correre, a sue spese, dalla nostra Contrada ed al quale assistè Federigo di Montauto, secondo governatore mediceo di Siena, il quale in una lettera datata agosto 1581 ed indirizzata a ser Antonio Serguidi, segretario granducale, dopo avere descritto “la grata emulazione delle Contrade” così si esprime nei confronti dell’Aquila: “che per essere ripiena tutta di gentiluomini et haver per impresa l’uccello che regna tra gli altri, ha voluto eleggersi il più solenne ed il più celebre giorno della città, che è la festa di mezz’agosto, et honorarla d’un palio superbo di broccato che superi il valore di tutti gli altri”.In seguito, purtroppo, questa attività così prestigiosa venne ad attenuarsi fino a scomparire del tutto. Dal 1600 al 1718 non si hanno notizie di manifestazioni cui l’Aquila sia intervenuta, se si esclude il Palio con le bufale del 1610 e 1622 ed il gioco delle pugna del 1614, e questo lunghissimo assenteismo provocò praticamente la scomparsa della Contrada il cui territorio fu tacitamente assorbito dalle Contrade vicine.